Diario di un dialogo col Covid

Diario di un dialogo col Covid






            2021  

Racconto

 

 




 

Nina Miselli













 

A mio marito che ogni giorno senza lamentarsi 

Ha curato con amore i pazienti del reparto Covid.

 

 

 

 

Diario di un dialogo col Covid










 

Mi chiamo Andrea Verdi, sono nato il 26 agosto del 1941, durante la Seconda guerra mondiale. Sono stato una gioia per i nonni e per i genitori. I miei avevano avuto due figlie prima di me. La mia nascita era stata una benedizione perché avrei continuato la tradizione del nome di nonno Andrea. A quei tempi era importante portare avanti la casata della famiglia con il figlio maschio. Amavano sia me che le mie sorelle, ma a me, essendo l’unico maschio, era permesso tutto ad eccezione di poche regole di mia madre: la prima non mi consentiva di restare troppo al sole e la seconda di giocare con i figli dei contadini”. Io di nascosto scappavo di casa e andavo a giocare sempre con Tony, il figlio dei nostri vicini. Amavo andare al fiume a pesca con lui. I pesci li portavo sempre alla nonna che li cucinava senza dire chi li avesse pescati. Mio nonno ci guardava, sorrideva e poi ci diceva: “prima o poi voi due sarete scoperti e allora sarò io a ridere.” I miei nonni mi hanno lasciato troppo presto, ma hanno conosciuto la mia Lisa. Mi sono sposato nel 1965, avevo ventiquattro anni. Ero così emozionato all’altare e, nel vedere la mia Lisa, la mia voce era divenuta tremante. Nel 1967 è nato il mio primogenito e nel 1968 il mio secondogenito. Abbiamo sempre vissuto insieme, non ho mai dormito una notte senza la mia Lisa di fianco. Durante la mia vita ho vissuto sofferenza, fame e dolore, mai e poi mai avrei immaginato di vivere un’esperienza così terrificante. Era una domenica sera. Durante tutto il giorno non mi ero sentito bene e la mia dolce Lisa mi aveva preparato il brodo caldo per aiutarmi. La temperatura si era alterata: ho pensato di essere raffreddato. Non avrei immaginato che sarei stato ricoverato in ospedale. La febbre per giorni non ha superato i 38 gradi, scendeva con la tachipirina e poi risaliva, non sembrava altro che una semplice influenza. Nel giro di qualche giorno la situazione è peggiorata ed i miei familiari hanno chiamato il medico curante, il quale subito ha ordinato loro di condurmi in ospedale. Dopo trenta minuti, ero già su un’autoambulanza. Arrivato al pronto soccorso, i medici hanno controllato i parametri vitali e, subito dopo tampone e Tac, mi hanno messo l'ossigeno. Sono stato in attesa del risultato per circa sei ore. Purtroppo per me, il tampone era positivo. Avevo sentito parlare del Covid alla tv, ma non potevo crederci che lo avessi. Sono stato ricoverato in terapia intensiva. Prima di entrare mi hanno fatto fare un'ultima telefonata. Facevo fatica a respirare, era una cosa straziante. È stato brutto soprattutto il momento in cui mi hanno tolto gli effetti personali, come la fede nuziale. Il mio sguardo era smarrito e mi chiesi: “ce la farò?”. Mentre parlavo al telefono avevo gli occhi lucidi. Nel frattempo, l'operatore sanitario, vestito come un astronauta, si prendeva i miei oggetti personali e mi guardava con gli occhi di chi prova pena per te e vorrebbe dire parole confortanti che però gli muoiono tra le labbra. Finita la telefonata, per me è iniziato il buio. 



 

 

 

Giovedì 2 aprile









 

Sono trascorsi quattro giorni dal mio arrivo e il tempo sembra infinito qui dentro. Sono disteso in questo letto d’ospedale a lottare per la mia vita contro un nemico invisibile. Ho voglia della mia casa e della mia Lisa. Chiudo gli occhi e ripenso alle mie verdi valli, a come eravamo diversi e forti in passato. Come erano belle le mie valli. Ricordo i nostri vicini. Erano contadini. Tutti i giorni lavorano la terra con le loro zappe sulle spalle e ferri davanti alle case. Il loro volto era sempre colorato dal sole estivo mentre io ero pallido perché la mamma non voleva che stessi al sole. Ma la domenica era festa per tutti. Tutti insieme andavamo a messa e non importava se fossi ricco o povero perché di fronte a Dio eravamo tutti uguali. Ma adesso che sono inerme in questo letto d’ospedale, tu mi guardi e mi schernisci. Sono vecchio e indifeso; sto tenendo duro, ma è così pesante. Sei ogni giorno di fronte a me ad aspettare la mia resa, ma io ho chi mi aspetta: non ti lascio vincere. Alcune volte ti guardo sperando che tu sia umano, ma tu non lo sei. Ho tanta paura di te, prego Dio affinché le mie storie ti rendano debole. Così ripenso a quando in passato, ogni persona si sentiva diversa, superiore e adesso in questi letti siamo tutti uguali. Sei qui, perché non ci lasci in pace? Ho il respiro corto e vedo la tua mano invisibile che mi stringe la gola. Malgrado la maschera con l'ossigeno non è facile respirare. Per difendermi da te chiudo gli occhi e ritorno alla mia vita passata. Ripenso alla domenica e al suono della campana che chiamava la gente alla messa. Alcune volte era fastidioso, ma ora darei chissà cosa per ascoltare quel suono. Apro gli occhi e tu sei ancora qui. Dicono che sei invisibile? Eppure, io ti vedo benissimo: hai il volto freddo come la morte e mi fai paura. Non posso restare qui, ho bisogno di ricordare la mia vita. Solo così acquisterò la forza per sconfiggerti. Ma tu brutta bestia che ne sai della nostra vita, non conosci nessuno di noi; eppure, ogni giorno, con la tua freddezza prendi con te molti miei compagni di sventura. Hai preso con te anche la mia amica Elena. Eravamo amici dall’infanzia. Per un periodo di tempo le nostre strade si erano divise, ma il giorno in cui l’ho rivista era con la ragazza più bella che avessi mai incontrato in vita mia. Ero seduto al bar, mi alzai, finsi di essermi ricordato improvvisamente una cosa al campo. Al cancello le incontrai, con educazione chiesi a Elena dei suoi, mentre parlavo con lei i miei occhi non smettevano un attimo di fissare la sua amica, che ricambiava il mio sguardo. Devi sapere che Elena, stanca dei nostri sguardi, ci disse: “lui si chiama Andrea e lei si chiama Lisa. Adesso potete pure parlarvi così la smettiamo con i vostri sguardi”. All’inizio ci fu imbarazzo poi scoppiammo a ridere. Quel giorno grazie a Elena ho conosciuto Lisa, la mia compagna di tutta la vita, è solo grazie a Elena se io lotto per vivere. Non ho paura di pronunciare il tuo nome se penso a Lisa. Ti chiamano Covid ma per noi sei l’angelo della morte. Ecco, finalmente, con le mie labbra, con quel poco d’aria ti ho nominato. Adesso lo so cosa devo fare per distruggerti. Devo pensare alle mie verdi valli e alla mia Lisa ogni volta che tu cerchi di portarmi via da lei. 


 

 

 

Venerdì 3 aprile









 

Non sono riuscito a dormire questa notte. Eri disteso su di me e non riuscivo a respirare, sei così forte che per un istante ho creduto che tu avresti vinto. Ma poi è entrato lui: sembrava un alieno, non si comprendeva all'inizio se fosse maschio o femmina. La sua dolcezza mi ha aiutato. Ho addirittura intravisto quella barba ribelle che gli usciva fuori dalla mascherina. Se tu sei l’angelo della morte, lui è stato l’angelo della vita. Lentamente l’aria è tornata e ti ho visto deluso mentre io ritornavo alla vita. Il mio angelo mi ha donato la forza di pensare al mio passato. Con nostalgia ripenso al mio giardino e alla prima rosa che coltivai in onore di mia moglie, che bei tempi. C’era la strada che conduceva al paese ai negozi ed era comoda soprattutto per noi di età avanzata. In gioventù, in alcuni punti la nostra terra mostrava da un lato di essere umida, buona per i fiori e la verdura, mentre dall’altro di essere più adatta per le viti. Nel percorrere la strada dal lato opposto, si arriva al bosco di acacie, dove non ci si vedeva, dove ci si sentiva soli, un po’ come in questo letto di ospedale. Ma il nostro giardino è unico, tutti si fermano a guardarlo. La mia Lisa ha una gran passione per i fiori, la vedo sorridente tra i nostri fiori. Come vorrei rivedere il suo volto per un'ultima volta e dirle grazie per ogni istante trascorso con lei. Grazie per avermi regalato due figli magnifici, grazie per avermi sopportato nei momenti brutti. Ma tu sei forte e testardo e non vuoi lasciarmi libero. Cosa può fare un povero vecchio come me contro un mostro come te? Può solo cercare di non lasciare andare la vita e lottare per chi ama. Ma è molto più pesante di quanto posso sostenere. Lo sai che ti vedo nel tuo angolo, sempre pronto a prendere uno di noi? Oggi ne hai presi tanti. Ti ho visto sorridere per la tua vittoria contro noi poveri vecchi. Ma chi sei? Chi ti ha creato? Già l’uomo. Egli è colpevole di tutto. Sta distruggendo il mondo… Erano così belle le mie verdi valli... 














 

 

 

Notte del 4 Aprile








 


Il cuore sembra fermarsi ad ogni mio respiro. Eccoti là fermo a fissarmi. Mi vuoi portare via. Questa notte mi sento debole, ho voglia di lasciarti vincere. Ci sono dei giorni in cui mi sento stanco e desidero arrendermi, ma poi ripenso al sorriso di mia moglie e resisto. Se fossi una persona ti affronterei, ma sei invisibile e ti nascondi nell’aria, consapevole che per l’uomo è l’unica cosa davvero importante. Alcune volte nel mio delirio ti sento ridere della mia debolezza. Allora prego Dio affinché mi dia la forza di lottare. Quanti compagni di letto ti sei portato via e oggi sentivo sul mio collo il terrore della morte. Certo ho paura non posso negarlo, ma sono testardo e legato alla vita. La vita, mio caro nemico invisibile, è un dono di Dio e se riusciamo a tenerla stretta è grazie ai nostri angeli custodi che si bardano con tenute spaziali, tute, maschere, visiere e guanti. I nostri angeli non possono neanche spogliarsi per tutto il turno. Stai rendendo a tutti qui dentro la vita difficile. Tutto così assurdo, ma loro ci donano la forza e il coraggio di lottare. Sono il nostro unico contatto con il mondo esterno, sono la voce dei nostri cari. Sono stanco e il ticchettio dell'orologio nella mia testa è scandito dal rumore del bip del monitor come se non avessi percezione di ciò che accadde intorno a me. È tutto così confuso questa notte.

 

 

5 Aprile









 

Oggi mi sento lievemente meglio. Sei sempre in agguato nel tuo angolo, delle volte mi chiedo in quanti siete? Se sei solo o hai la capacità di moltiplicarti? Forse inizio a impazzire? Non so che pensare… Ma non posso lasciarmi andare, non devo assolutamente arrendermi. Se la mia follia mi può salvare allora ben venga. Mi sorridi e io ti rispondo con i miei racconti. Ricordo la prima volta che con la mia Lisa abbiamo fatto le vacanze da soli senza i nostri figli ormai adulti. È uno dei luoghi più belli in cui mi sono recato con Lisa. Eravamo in una spiaggia bellissima a Mari Pintau, in Sardegna. Devi sapere che il suo nome significa “mare dipinto”: è chiamato così per la tonalità del colore dell’acqua che varia dall’azzurro al verde fino al blu. È stato come una seconda luna di miele. La spiaggia era quasi deserta, tutta per noi. Nel mese di settembre pochissime persone scelgono di andare in vacanze. Che momenti indimenticabili noi abbiamo vissuto in quei giorni e che pace abbiamo provato! Già, che pace era quel luogo. E qui in ospedale, dov’è la pace? Perché non mi rispondi? Lo so che mi capisci? Sei un vigliacco, ti odio… Ma che sto facendo? Parlo con un virus! Mi chiedo se forse stia diventando folle; eppure, essere folle mi dà forza. Eppure, io lo vedo sempre nell’angolo che attende. Forse oltre a crearti problemi respiratori il Covid uccide la ragione. Che stupido che sono: adesso piango. Ma non posso piangere, non devo piangere. Poi entra lui, mi guarda e mi fa una carezza sulla mano, lo riconosco dalla barba ribelle: è il mio angelo. Prima di uscire mi dice: “Signor Andrea oggi dai parametri sembra che vada un po’ meglio.” Credo che mi abbia sorriso prima di uscire, ma con la mascherina non ne sono certo. Mi ha chiamato per nome, quindi lui e i suoi colleghi conoscono i nostri nomi, non siamo dei numeri… Hai sentito mio caro Covid? Conoscono i nostri nomi!  Tu conosci i nostri nomi? Non credo proprio. Tu conosci il soffio della nostra vita, quella che vuoi portarci via inconscio del fatto che non siamo soli: ci sono i nostri angeli. 

 

 

6 Aprile









 

Oggi sto malissimo. Malgrado il tubo dell'ossigeno nella mia bocca l’aria non arriva. Che fatica respirare! Per un momento ho smesso di farlo, ma non ne sono sicuro. Ho visto i miei angeli intorno a me che parlavano, ma non riuscivo a comprendere le loro parole così ho chiuso gli occhi per pochi minuti. Era tutto buio intorno a me, in lontananza percepivo delle voci, ma non saprei dire chi fossero. Ho visto Lisa andare lontano, più cercavo di raggiungerla e più lei correva, non ricordavo che corresse così veloce. Avevo il fiatone, cercavo di chiamarla ma lei non si voltava. Dove stava andando e perché non voleva che io la raggiungessi? Mi sento così solo qui in questo luogo buio e freddo, ho tanta paura. Sono così stanco. Ho voglia di chiudere gli occhi e lasciarmi andare. Ma quelle voci sono così calde e gentili. Adesso riesco quasi a comprendere le loro parole. Mi chiedono di non arrendermi e di tornare. Poi in lontananza vedo una luce. É calda, mi avvicino a lei ed entro. Quella luce è così forte che non riesco a distinguere nulla, ma poi cerco di mettere a fuoco e lo vedo di fronte a me con la sua barba ribelle. Mi guarda e questa volta dai suoi occhi comprendo un sorriso di sollievo. Ancora una volta i miei angeli mi avevano aiutato a tornare indietro. Che strano, non ho visto il mio nemico nell’angolo. Lui che è sempre in attesa. Ma non mi interessa ho sonno e voglio riposare. 

 

 

7 Aprile









 

Mi chiedo se sto sognando tutto. Non comprendo più quale sia la realtà o la fantasia… Eppure, tutti i giorni sono qui in questo letto intubato e legato a questi macchinari: allora perché mi sembra un sogno? Sono due giorni che non lo vedo seduto nel suo angolo in agguato. Ma è mai esistito? Oh, mio Dio aiutami a capire, aiutami a comprendere. Il più delle volte cerco di tornare indietro alla mia vita passata, alla mia felicità, alla mia famiglia. Ma la realtà è dura ed io sono vecchio. Ti prego fai una scelta per me, sono così stanco. Cosa vuoi che io faccia? Poi entra lui, il mio Angelo, e mi dice che mia moglie Lisa mi sta aspettando e che mi ama più della sua vita. Mi tocca la mano con dolcezza ed esce fuori. Chiudo gli occhi e delle lacrime silenziose scendono sul mio viso. Sono vivo e consapevole che la realtà mi sta aspettando fuori. 

 

 

8 Aprile










 

Apro gli occhi e ti vedo. Quindi sei tornato? Ti sembrerà strano, ma ho quasi sentito la tua mancanza. Voglio raccontarti della mia Lisa. È nata in una bellissima giornata di primavera del 1943. Ha donato un po’ di luce in un periodo di guerra ai suoi genitori. Suo padre era partito per il fronte e l’aveva vista per la prima volta solo all’età di due anni. Lisa mi racconta sempre che il legame col suo papà è stato speciale, ma è durato troppo poco. Lui è morto giovane quando lei aveva quindici anni, l’anno prima che io la conoscessi. Lei mi dice sempre che è stato il suo papà ad inviarmi nella sua vita, era consapevole che anche dal paradiso lui la proteggesse. Mi dice sempre che io glielo ricordo e per me è un bellissimo complimento. Devi sapere che ho permesso a Lisa di dare il nome di suo padre a nostro figlio. Puoi immaginare la rabbia e la delusione di mio padre. Credo che non me l’abbia mai perdonato. Per fortuna il buon Dio dopo un anno ha permesso di mettere il nome di mio padre al secondogenito… Che sospiro di sollievo è stato per me. Sorridi? Forse sono veramente folle. Adesso ho bisogno di riposare. 

 

 

9 Aprile









 

Che cos’è tutta questa confusione? Con lo sguardo seguo il via vai del personale medico. Il mio compagno di stanza sta male. È una lotta contro il tempo. All'improvviso si sente solo un bip e l'espressione del personale è sconvolta. Sento una frase: “ne abbiamo perso un altro”. La tristezza si percepisce nell’aria. Non conosco neanche il suo nome eppure mi sento triste. In circostanze diverse avremmo fatto amicizia, parlato delle nostre famiglie e ci saremmo scambiati i nostri numeri di telefono. All’inizio ci saremmo chiamati spesso, poi solo gli auguri per Natale e Pasqua e alla fine neanche più quello. Ma oggi qui siamo solo due estranei, due vicini di letto che lottano contro lo stesso male invisibile. Non c’è neanche il tempo di riflettere e piangere per lui. Ecco arrivare gli operatori che mettono il corpo del mio vicino in un sacco nero come se fosse spazzatura. Ma alla fine forse lo siamo? Subito dopo aver portato via il mio vicino, hanno igienizzato il letto e il comodino e poco dopo il suo posto è stato preso da un altro signore che lottava per la sua vita. Noi siamo i pazienti della terapia intensiva dovuta al Covid: ogni posto libero è un posto per un nuovo paziente. Mi chiedo in quanti abbiano lasciato il proprio letto con le proprie gambe. Lascerò il mio letto e vedrò mai la mia Lisa? 

 

 

10 Aprile









 

Ho perso la nozione del tempo, non ricordo quanti giorni sono trascorsi dal mio ricovero in ospedale forse dieci? Non saprei. Intorno a me tutto tace. Si sente solo il rumore dei macchinari che accompagna il tic-tac degli orologi. Se non fosse per quello penserei di essere sospeso in un mondo immaginario o in purgatorio. Chissà, forse è questo il purgatorio. Un purgatorio simile all’inferno. Forse tutto questo è una punizione divina. Vorrei chiederlo a qualcuno, ma a chi? Non sempre il mio angelo e i suoi colleghi mi parlano: delle volte vanno di fretta come se stessero lottando loro per la propria vita. Ma in realtà loro lottano per la nostra vita rischiando tutti i giorni il contagio. Credo che la maggioranza di loro abbia famiglia; eppure, hanno scelto un lavoro in cui non vengono valorizzati. Ogni giorno lottano con il virus e contro la morte. Chissà che paura hanno di contagiare i propri cari. Li vedo sorridere attraverso i loro occhi, malgrado tutto. Sono gentili con noi, ma sono anche tristi, credo perché non hanno la cura a questo maledetto virus e cercano di arginare i suoi terribili attacchi al nostro corpo. Credo che perdere qualcuno di noi li faccia sentire dei falliti. Ma noi li vediamo mentre cercano di salvarci, anche solo regalandoci piccoli istanti di serenità con i messaggi dei nostri familiari. Sono i nostri angeli. 

 

 

11 Aprile









 

I miei valori sembrano migliorare sempre di più. È strano, più non ti vedo e più mi sento meglio. Ormai sembri solo un'ombra sbiadita. Dentro di me qualcosa sta cambiando, dormo sempre meno e la mia mente è lucida. Continuo a pensare al passato, a chi è fuori che mi aspetta ma soprattutto penso alla mia Lisa nel nostro letto. Dopo oltre cinquant’anni di matrimonio, questa è stata la prima volta che abbiamo dormito in letti separati. La vedo con la sua esile mano che coccola il mio cuscino con il volto bagnato, pregando Dio affinché mi conduca a casa. Vorrei tanto dirle di stare tranquilla perché io tornerò da lei, sento che questo non è il mio momento e che vivremo ancora tanti anni insieme. Spero di tornare presto a casa e di dirle quanto l’amo. 

 

 

12 Aprile









 

Questa mattina finalmente sono uscito dalla terapia intensiva e i dottori mi hanno trasferito al reparto Covid. Mi hanno tolto il tubo dell’ossigeno e messo la mascherina. Ho avuto la sensazione che mi togliessero un serpente dalla bocca. Dal reparto Covid, sono stato trasferito in un reparto per fare la riabilitazione respiratoria e motoria. I dottori mi hanno detto che lentamente avrei iniziato a mangiare, prima con dei liquidi e poi con una dieta semi solida fino ad arrivare ad una dieta normale. È strano essere senza tubi in gola, ma allo stesso tempo mi sono sentito libero, consapevole che sono quasi fuori pericolo. Guardo fuori dalla porta, ormai sei quasi invisibile. Ti devo ringraziare perché mi hai donato la forza per reagire e il coraggio per provare a vincere la mia battaglia. Credo che non dimenticherò mai il tuo volto, malgrado tu sia stato solo frutto della mia fantasia. Eri così freddo e gelido. Quante volte ho avuto paura di te, quante volte sei stato così vicino a prendere la mia vita. Ho lottato contro di te, che sei forte e grande. Mi hai permesso di ritornare indietro alle mie verdi valli, ai miei giorni migliori. Mi hai ascoltato in silenzio, o forse mi sono ascoltato. Ma non ha importanza perché ho iniziato il mio tunnel per tornare alla vita e una volta uscito fuori sarò a casa dalla mia Lisa. Devo dirti grazie e spero di non vederti mai più. 

 

 

20 Aprile









 

Sono rimasto nel reparto di riabilitazione una settimana. Non è stato facile tornare alla vita. In alcuni giorni ho avuto paura di tornare indietro e di non uscire mai dal reparto. Non è stato facile imparare ancora una volta le cose basilari della vita, come mangiare e camminare. La prima volta che ho provato a camminare ho avuto la sensazione che le mie gambe non ascoltassero l’ordine del mio cervello. Ma il peggio è stato ingoiare la prima volta. La mia gola sembrava chiusa, quasi sigillata. I miei nuovi angeli mi hanno imboccato, mi hanno insegnato a camminare ancora una volta; in un certo senso sono stati come la mia seconda mamma accudendomi nel momento del bisogno. Ma il mio angelo della vita resterà sempre l’infermiere con la barba ribelle di cui non conosco il nome. Finalmente ho potuto chiamare la mia Lisa. In realtà l’ho anche vista con una videochiamata grazie al personale. Tutti e due piangevamo, ho toccato con la mano lo schermo ma, era freddo, non era il volto caldo e soffice della mia Lisa. Ascoltare la sua voce mi ha dato il coraggio di lottare ed uscire fuori dal tunnel perché lei era a casa ad aspettarmi. Di fianco a lei c’erano i miei figli. Dopo tanti giorni, ho avuto la sensazione che fossero invecchiati, o forse lo erano già ed io non li ho mai visti grandi. Non è stato facile interrompere la telefonata. Subito dopo ho pianto per diverso tempo. Ho ripensato alle nostre coccole nel letto. Alle nostre tazze di tè di fronte al camino e ai nostri documentari sull’Alaska e quante volte abbiamo detto che il loro modo di vivere ci ricordava la nostra giovinezza. Devo uscire fuori dal tunnel, tornare a casa e riprendermi la mia vita. 

 

 

27 Aprile









 

Io sono vivo, ma sono ancora tanti quelli che lottano per la propria vita. Tanti sono morti da soli in quel reparto senza poter più salutare le loro famiglie, né vedere la luce del sole per un'ultima volta. Io invece sono vivo, posso tornare al mondo reale… e posso ancora una volta respirare autonomamente. È stata una prova terribile: posso dire di essere passato attraverso l’inferno. Ogni giorno ho aspettato e cercato di comprendere se sarei tornato ancora alla vita. Non è stato facile per nessuno lottare contro il Covid, ma lo è ancora meno per me che ho 79 anni. Per gli anziani tutto è molto più complicato, tutto sembra non avere mai fine. Forse è anche perché ci si sente vecchi, impotenti di fronte ai problemi della vita. Eppure, oggi, che ho fatto di nuovo il tampone per poter tornare a casa, ho capito di essere un vecchio testardo così legato alla vita da aver quasi vinto. Ho lottato con le unghie e con i denti, ma ce l’ho quasi fatta. E col cavolo che ti ho lasciato vivere. Uno a zero per un vecchio come me! Mio caro Covid, ti ho sconfitto, e domani, se Dio vuole, sarò a casa dalla mia Lisa e dai miei figli. Spesso mi sento in colpa per tutti i miei compagni di viaggio che non sono riusciti a sconfiggere il nemico che avevamo in comune. Ma sono vivo e mi importa solo di vedere la mia Lisa. 

 

 

28 Aprile









 

Il tampone è negativo: oggi, finalmente, posso tornare a casa. Sono così emozionato, ancora una volta ho pianto come un bambino. Ecco… ci siamo. Mi stanno portando dai miei familiari che sono ad attendermi in portineria. Eccoli là! C’è solo il vetro che ci divide. La mia Lisa è davanti ai miei figli, pronta ad abbracciarmi e prendermi per mano. È trascorso quasi un mese dall’ultima volta che l’ho abbracciata e per molti giorni ho creduto di non poterlo fare mai più. Finalmente la porta si apre e Lisa corre, seguita dai miei figli, ad abbracciarmi forte. Tutti noi piangiamo e, se non fosse stato per l’infermiere accanto a noi che con la sua voce ci ha ricondotti alla realtà, saremmo rimasti forse ore lì abbracciati. È stata una grande emozione rivedere i miei famigliari, ma ritrovare Lisa è stato come rincontrarla per la prima volta. Abbiamo fatto il viaggio di ritorno abbracciati come due bambini. Ma forse lo siamo davvero. Finalmente a casa… la mia dolce casetta in campagna in cui ho vissuto momenti indimenticabili. Il nostro giardino è fiorito: il Covid ha regalato un po’ di respiro alla natura. Com'è bella la mia casa con il glicine. Ora che sono tornato, anche se ci vorrà un po’ di tempo, riuscirò a rifiorire come il mio glicine. 

 

 

29 Aprile









 

Sono trascorsi dieci di giorni dal mio ritorno a casa. Non sono forte come prima, ma lentamente inizio a ritrovare me stesso. Sono consapevole, però, che non ritornerò mai ad essere l’uomo che ero un tempo. È difficile mettere in ordine i pensieri dopo il mio ricovero. Il mio corpo deve ristabilirsi, ma deve farlo soprattutto la mia dimensione psicologica. Non so quanto tempo, sarà necessario per tornare fisicamente come prima, o se mai ci tornerò, un giorno. Inizio a dormire bene di notte, anche se qualche volta sogno di essere ancora in ospedale con lui che mi fissa e mi sveglio sudato e con il fiatone. Per fortuna Lisa è di fianco a me e mi aiuta preparandomi una camomilla calda. Mi abbraccia così mi addormento sereno. Riprendere i contatti sociali attraverso il telefono è stato importante, ma lo è stato anche prendere un po’ di sole sul terrazzo perché è un grande antidoto contro la depressione. Ovviamente faccio tutto ancora in isolamento, ma mi sento molto meglio. Solo ai miei figli è permesso venire a trovarci. Le giornate sono belle, il sole mi coccola ogni giorno. Sono sicuro che tra un mese sarò più forte, anche se non cammino più senza bastone. Restare seduto nel nostro giardino a guardare la mia Lisa che cura le sue rose è come prendere una medicina magica. Abbiamo anche smesso di ascoltare il telegiornale: mi fa star male. Ho deciso con Lisa di vedere solo i nostri documentari preferiti o i film romantici. Non l’avrei mai detto in vita mia, ma ho guardato, dopo anni che provavano a farmelo vedere, anche “Orgoglio e pregiudizio”. Posso affermare che è troppo sdolcinato per i miei gusti, ma a Lisa ho detto di averlo trovato carino. A questo punto credo che mi toccherà vedere tutti i film di Jane Austen! 

 

 

10 Maggio 









 

Oggi ho avuto il coraggio di scrivere i miei pensieri su un diario, ma non quello di raccontare la mia esperienza. Ho trascritto i miei pensieri su queste pagine bianche e tu sarai, per il momento, l’unico a cui ho raccontato parte della mia esperienza perché nemmeno a te ho avuto il coraggio di raccontarla tutta. Mi fa rabbia sentir dire che il Covid non esista perché posso dire, per la mia esperienza, che non sia una bufala: è reale ed ha ucciso tanti miei compagni di ospedale. Vorrei dire a chi non crede, di fare un giro per i reparti o di provare ad ascoltare chi è sopravvissuto. È facile parlare se non si è vissuta questa realtà in prima persona; posso dirvi che a un certo punto non ero più lucido e non comprendevo la realtà: stavo così male da vedere il Covid in carne ed ossa come un angelo della morte. Adesso donerò solo a questo mio diario una parte di storia. Il resto, forse, non lo narrerò mai. Sono a casa mia con i miei familiari. Sono amato e accudito dalla mia Lisa e sono ancora vivo. Voglio solo dimenticare. Ripensando al mio nemico invisibile, devo dirgli grazie. Mi ha condotto con la mente in un passato lontano che mi ha donato il coraggio di lottare e di vincere la mia battaglia.

 

 

 



 



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